Michele Ergomassi in metropolitana
Michele incontra un amico di gioventù
Michele e Corrado testimoni di un evento impensabile
Il commissario Anacreto parla al telefono con un superiore
Certo, Eccellenza, sarà mia premura…
Dall’altro capo del telefono il Comandante generale delle SSPAC con voce concitata e assertiva ordinava a Giulio Anacreto di spiegare tutte le energie del suo ufficio per porre termine all’insopportabile spettacolo dei tre LERT fuggitivi:
…Le do una settimana di tempo! Ho ricevuto pressioni da molto in alto…
Giulio Anacreto, in piedi, irrigidito sull’attenti, la voce incrinata dalla tensione, cercava di assecondare le aspettative del suo interlocutore
I nostri investigatori operano senza sosta, Eccellenza, abbiamo individuato alcune piste promettenti…
C’è bisogno di risultati, commissario! …Il ministro degli interni della Zona…
Le invierò oggi stesso una relazione, Eccellenza. Al telefono per le ragioni che le sono note non posso aggiungere altro…
Commissario, ne va del suo prestigio e della sua carriera…
Al termine della telefonata il commissario Giulio Anacreto, sciolse il precedente irrigidimento in un’imprecazione: - Cazzo! Ci mancava anche questo, e si lasciò andare, come un pupazzo sgonfiato, sulla poltrona dirigenziale dalla quale con un gesto automatico di subordinazione si era alzato, irrigidendosi sull’attenti, nello stesso istante in cui aveva sentito il nome del comandante generale. Lo sguardo vagante passò in rapida rassegna, senza vederli, gli incartamenti disposti in bell’ordine sulla scrivania, scandagliò, sempre senza vedere alcunché, le pareti della stanza sulle quali facevano bella mostra diplomi foto dipinti e gagliardetti che comunque non potevano di certo dargli alcun suggerimento, anche se per qualche ipotetica e improbabile circostanza il potere evocativo delle cose avesse potuto suscitare in lui un barlume di idea, una pista plausibile che lo indirizzasse nella delicata indagine che lo impegnava.
Si riebbe subito. In realtà una pista da seguire c’era, era stata preparata con cura da molto tempo, ora si trattava di tirare la rete e far la conta dei pesci che ci sarebbero rimasti impigliati.
Si tirò su, accese una sigaretta, ne inspirò avidamente il fumo e intanto sul telefono interno ordinava al suo assistente:
Convoca nel mio ufficio, tra mezz’ora esatta, tutti i vice commissari. La riunione ha la preminenza assoluta su qualsiasi altro impegno.
Giulio Anacreto aveva uno strano modo di fumare. Fumava Levante classic pacchetto rigido, alle quali prima di accenderle asportava il filtro, con un’avida tensione che lo portava ad aspirare il fumo in una sorta di risucchio rumoroso cui faceva seguito in rapida successione un’espirazione un po’ meno rumorosa con le labbra conformate come un tronco di cono dalla cui rotonda apertura sbuffava il fumo grigiastro insufflatovi dalle guance buffamente rigonfie.
Signori, mezz’ora fa ero al telefono con il nostro Comandante generale – Shshshsh fffffffff –. Il governo vuole risultati immediati nelle operazioni di recupero dei LEC…
Lo ha informato dell’operazione “Allert” in corso? Chiese uno dei vice;
Gli invierò oggi stesso una comunicazione riservata. Però, anche se il nostro agente speciale MN1 è stato agganciato dall’organizzazione che aiuta e protegge i LEC – Shshshshs – poiché – fffffffff – secondo il piano concordato non è conveniente intervenire prima di avere informazioni precise, ed essendo al contempo necessario tranquillizzare l’opinione pubblica e le autorità, bisogna escogitare immediatamente qualcosa. Attivate i vostri neuroni e decidiamo una strategia – Shshshsh fffffffff … Shshshsh fffffffff –.
L’operazione richiamata dal vicecommissario, nella lezione corretta, così indicata anche nei documenti ufficiali, era scritta come “al-LERT” con un chiaro e non solo allusivo riferimento ai LERT da recuperare, ma al contempo dava l’idea di presenza, di impegno e di attenzione. Anacreto che l’aveva ideata e le aveva dato il nome ne era orgoglioso e non mancava di sottolinearne il duplice significato.
Convochiamo una conferenza stampa e diciamo che è stato individuato un possibile covo, che lo stiamo tenendo d’occhio…, disse il vice di prima.
Intervennero altri, le voci e le proposte si sovrapposero finché il più giovane dei presenti, che quanto al mestiere dello sbirro sembrava di saperla molto lunga, forse anche più lunga del suo capo, se ne uscì con una trovata che tutti trovarono geniale:
Fermiamo un paio di sospettati, spremiamoli ben bene ed emettiamo un comunicato stampa dai toni trionfalistici. Servirà almeno a prendere tempo…
Bene! – Shshshsh fffffffff – Tu e il tuo gruppo condurrete l’operazione. Bordini redigerà il comunicato stampa. Voglio che sia tutto pronto entro le sei del pomeriggio – Shshshsh fffffffff –, ordinò il Commissario,
Michele Ergomassi in metropolitana a tu per tu con i sostenitori del governo della Zona in festa
Michele captava di tanto in tanto qualche moncone di frase, qualcuna lo colpiva come uno schiaffo in pieno viso, gli girava nella testa e nello stomaco, gli causava un malessere fisico che gli impediva persino di pensare.
…pena di morte per i LERT disertori…una situazione intollerabile… Lei cosa ne pensa signore…, stava dicendo un ometto impettito e bilioso che esibiva sulla giacca un grosso distintivo rotondo con la scritta “Islam, no grazie. Viva Maria”;
Beh, non saprei. Credo… credo che la vita sia sacra… gli insegnamenti della chiesa…, riuscì a dire l’interpellato con un certo imbarazzo. Se n’era stato tutto il tempo seduto al suo posto leggendo il giornale, due sedili davanti a Michele che guardava fuori dal finestrino; di fronte a quella domanda era trasalito. L’ometto con il distintivo gli impedì di continuare, lo apostrofò con arroganza:
La vita di questi pezzenti vale meno di quella di un cane randagio. Sono pericolosi, se ne avessero la possibilità ci annienterebbero… dobbiamo difenderci, caro lei;
Ha ragione, il governo è troppo magnanimo… ci vogliono pene più severe contro i LEC, intervenne un altro passeggero;
In realtà abbiamo bisogno del loro lavoro…, disse timidamente l’uomo col giornale e subito contro di lui si scatenò un vortice di voci sovrapposte;
Sono loro ad aver bisogno di noi, senza la protezione del nostro governo i loro paesi si dilanierebbero in guerre intestine…;
Ora che il loro petrolio non strangola più le economie occidentali, senza il lavoro che gli garantiamo non potrebbero sopravvivere…
Alleverebbero qualche capra…
E qualche cammello…
Ahahahahahah, ahahahahahah. Le battute sulle capre e i cammelli avevano suscitato l’ilarità generale. Ahahahahahah, ahahahahahah. L’uomo col giornale se ne restò in silenzio, incapace di sorridere, profondamente ferito, trincerato dietro al giornale, cercando di non dar peso alle parole di scherno. Ahahahahahah, ahahahahahah.
Lei non ride con noi? Disse un altro manifestante rivolgendosi a Michele che continuava a guardare dal finestrino;
Le capre non mi fanno ridere… e neanche i cammelli, rispose Michele con decisione. La risposta irritò il suo interlocutore che lo apostrofò a brutto muso:
Senti questo! Chi si crede di essere…, disse rivolto alla platea dei suoi amici;
Sarà un comunista…; un amico dei LEC…; meriterebbe una lezione…
La situazione per il povero Michele-Libero e per il signore col giornale cominciava a diventare pesante.
…sì, meriterebbe una lezione…, con più enfasi e cattiveria rispetto al sodale che lo aveva preceduto; Lascialo perdere è un poveraccio…, disse un altro; mentre il treno si fermava alla stazione Mazzini. Michele meditò di scendere. Ci rinunciò perché non voleva farsi vedere timoroso, se fosse scappato li avrebbe gratificati ed era l’ultima cosa che avrebbe voluto concedere. Pensò di scendere alla stazione successiva, ne sarebbero mancate ancora due prima di arrivare a piazza del Referendum, avrebbe fatto una passeggiata per scaricare l’irritazione che gli strideva dentro. Quando l’altoparlante di bordo annunciò la fermata, si alzò dal posto accanto al finestrino, chiese permesso e si diresse verso la porta. L’uomo col giornale lo seguì istintivamente. Varcarono le porte della vettura passando in mezzo a due ali di folla inneggiante, se ne allontanarono in fretta cercando una zona franca in cui riconoscersi.
La sua risposta alla provocazione è stata formidabile, disse l’uomo col giornale porgendo la mano per fargli i complimenti;
Anche la sua, niente male…;
Un’affermazione spontanea, suggerita dalla patacca che quell’uomo portava al bavero della giacca…;
Un distintivo? Non l’ho notato…;
C’era scritto “Islam, no grazie. Viva Maria”, sullo sfondo l’immagine della Madonna del rosario… oggi è l’anniversario della battaglia di Vienna vinta nel millesecentottantatré dall’esercito cristiano contro i Turchi;
…mentre l’immagine della Madonna del rosario, patrona della Zona, richiama la battaglia di Lepanto combattuta il 7 ottobre del millecinquecentosettantuno;
Tutto si tiene e si spiega… mi sembra, disse l’uomo col giornale, e aggiunse: Le posso offrire un caffè? C’è un locale tranquillo appena fuori dalla stazione;
Grazie, volentieri, rispose Michele e si avviarono su per le scale parlando dell’accaduto e della situazione politica della Zona.
L’uomo col giornale si chiamava Leandro Bittante, aveva cinquantasei anni ed era un ingegnere con competenze ed esperienza nel settore della sicurezza informatica. Quando si salutarono Michele aveva il suo numero di telefono. Leandro non andò alla manifestazione in piazza del Referendum, Michele incidentalmente sì, ne avrebbe avuto una visione d’insieme dall’appartamento di Corrado Filobarbo che dall’ottavo piano si affacciava sul lato lungo della piazza.
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Michele incontra un amico di gioventù
Paolo Favero, come Michele, aveva origini umili e un’intelligenza vivida e aperta. Si era distinto in tutte le fasi dell’iter scolastico e aveva coltivato le idee e le tradizioni familiari, anche se negli anni della Z.C. non avevano più credito e spazio, erano avversate e sopravvivevano ai margini del dibattito culturale, ininfluenti nel dibattito politico e nella pratica sociale, coltivate da pochi studiosi considerati antisociali o, al meglio, eccentrici, dagli adepti di organizzazioni sociali e politiche oramai ininfluenti, residui di un passato ripudiato e sconfitto. Nella Z.C. la distinzione tra destra e sinistra non aveva alcun significato, ambedue erano scorie ideologiche di cui la modernità si era liberata, sostituite da un pensiero unico infarcito di liberismo economico, di limitazione dei diritti sociali e dell’autonomia delle organizzazioni sociali intermedie, di populismo e da una inedita forma di culto del capo alimentata dal ferreo controllo sui mezzi di comunicazione di massa branditi senza ritegno come strumento di controllo e di indirizzo delle coscienze. Una versione light del grande fratello. Non ancora al livello di quello orwelliano, perché disponeva di un percorso unidirezionale di comunicazione, a differenza di quello bidirezionale immaginato da Orwell.
Paolo, come Michele, era cresciuto con gli ideali che al tempo della sua infanzia si chiamavano di sinistra, ci credeva, li aveva coltivati nella solitudine dei tempi difficili dell’università, aveva sofferto nel tempo in cui erano stati dimenticati e soffocati dalla prepotenza del pensiero unico, poi d’improvviso qualcosa si era rotto nella sua testa, era cambiato, aveva modificato le idee e il modo di vivere. Era successo negli ultimi dieci anni, nel periodo in cui era sparito dal radar di Michele, che lo stava scoprendo quella sera, nel giorno anniversario della nascita della Zona.
Cosa ci fai con persone che hanno una sensibilità pari a quella dei facoceri? Aveva ripetuto Michele quando si furono accomodati a un tavolo appartato, in un angolo del salone, lontano dal gruppo da cui si erano staccati, e aveva aggiunto:Hai sentito le idee aberranti sugli immigrati e sui provvedimenti da prendere?
Paolo avrebbe volentieri evitato di rispondere e di discutere con Michele. Si vergognava di mostrarsi in una luce diversa da quella familiare all’amico, ma non poteva farne a meno. Cercò di minimizzare: Sono idee comuni, oramai, Michele! I tempi sono cambiati, non siamo più giovani, c’è un mondo diverso da quello di allora…, è cambiato tutto…;
Michele non riusciva a capire. Si fermò un momento a riflettere. Erano cambiati i tempi, era vero, pensò; erano cambiate molte cose; non era vero che ci si dovesse necessariamente omologare. E soprattutto: Paolo lo aveva fatto? Poi, riprendendo il filo delle sue riflessioni, disse:
Ma non sono cambiati gli esseri umani, Paolo. Siamo sempre persone e dobbiamo restare umani, cercare di non abbrutirci. Me lo ha ricordato qualche ora fa un tassista: “Se abbiamo paura dei lavoratori extracomunitari, perché li facciamo venire nella Z.C. e poi li vogliamo tenere come cani alla catena? Sono uomini anche loro, o qualcuno crede che non lo siano? E se invece abbiamo bisogno di loro, non è meglio trattarli con umanità, integrarli nelle nostre comunità?”. Così mi ha parlato il tassista: non ha forse ragione? Non è forse ciò che abbiamo sempre pensato?
Erano gli anni della spensieratezza, Michele. Non sapevamo niente del mondo, seguivamo una strada che non portava da nessuna parte. Su quella strada non c’era speranza e io avevo bisogno di sperare in qualcosa di positivo, di credere nel futuro. Tu, piuttosto, continui a essere ancorato a principi obsoleti, ti stai distruggendo per niente. Guardati intorno e goditi la vita…, disse Paolo.
Michele si guardava intorno e guardava l’amico con costernazione. E fu proprio in quel momento che il riflesso di un piccolo distintivo d’oro sul risvolto della giacca di Paolo ne attirò l’attenzione. Restò senza parole, incredulo. Riuscì appena a dire:
Ma Paolo, cos’è quel distintivo! Non dirmi…, senza finire la frase. Lo conosceva bene il significato di quel simbolo famigerato che raccoglieva e rappresentava le istanze più volgari e aggressive dei movimenti xenofobi della Zona: una A stilizzata sovrapposta a una croce greca contornate dalla scritta Aryan League.
Paolo era visibilmente imbarazzato. Con un gesto istintivo portò la mano destra all’occhiello come se volesse nasconderlo alla vista di Michele, quindi lo tolse e lo mise in tasca.
Cosa vuoi… Ci sono cose a cui non ti puoi sottrarre… La vita nella Zona in questo scorcio di tempo non ti lascia scampo, ti lacera e ti obbliga a indossare una maschera, a proteggerti dietro un velo d’ipocrisia, dimenticando nel fondo della coscienza ciò che sei realmente. Sì, Michele, sono un uomo debole e ho paura, non riesco a essere me stesso e mi sono attrezzato per sembrare un altro. Mi proteggo, nient’altro che questo…, disse Paolo con amarezza, con un tono di nostalgia nella voce.
Sulla pedana all’angolo opposto del salone la band suonava Over the rainbow:
Somewhere over the rainbow / Way up high / And the dreams that you dreamed of / Once in a lullaby ii ii iii / Somewhere over the rainbow / Blue birds fly / And the dreams that you dreamed of / Dreams really do come true oh ooh
Da qualche parte sopra l’arcobaleno / proprio lassù / ci sono i sogni che hai fatto / una volta durante la ninna nanna / Da qualche parte sopra l’arcobaleno / volano uccelli blu / e i sogni che hai fatto / i sogni diventano davvero realtà oh ooh.
A Michele sembrava che il testo della canzone gli parlasse, che dovesse parlare anche a Paolo, ma lui non sentiva niente intorno a sé. Non sentiva neanche Michele che lo richiamava al rispetto di sé:
Ma allora, io chi ho conosciuto? Come posso comprendere questo tradimento di sé? Perché è un tradimento, Paolo. Lo hai detto tu stesso che hai indossato una maschera. Tu non sei come ti fai vedere. Non voglio certo giudicarti, avrai le tue ragioni. Mi chiedo solo se siano anche buone ragioni. Comprenderei se le esperienze o una diversa filosofia di vita avessero cambiato le tue convinzioni, ma mi fai capire che non è così. E allora come posso comprendere?
Per capire la situazione dovresti conoscere un paio di circostanze che mi hanno cambiato la vita. Non cerco scuse. So di essere stato un debole, avrei dovuto avere il coraggio di resistere, ma tant’è… È andata così, disse ancora Paolo che sembrava oppresso da un dolore indicibile. Anche Michele incominciava a stare sulle spine. La rabbia e l’incredulità iniziali avevano lasciato il posto al disagio per la condizione dell’amico. Avrebbe voluto dirgli parole di conforto, dedicargli tutto il tempo necessario per invogliarlo a confidargli le vicende che avevano modificato la sua vita e lo avevano indotto (obbligato?) a scelte così radicali e a ben guardare anche disapprovate dalla sua stessa coscienza. In che senso Paolo era stato un debole? Chi lo aveva costretto a fare scelte contro la sua stessa natura, in contraddizione con il suo essere e la sua storia? C’era qualcuno o qualche entità che lo condizionava? Le domande si affollavano nella mente di Michele come un ingorgo cittadino nelle ore di punta; arrivavano veloci e s’incolonnavano dietro le altre, si affiancavano, si sovrapponevano restando inevitabilmente tutte senza risposta. Un dato sembrava indiscutibile: Paolo era in balia di qualche forza oscura che ne limitava la libertà e l’azione, che lo teneva in pugno e avrebbe potuto fargli male, annientarlo fisicamente o moralmente. Perché? Questo era il crocevia al centro dell’ingorgo. Aveva possibilità di affrancarsi dal controllo di quella forza oscura? Poteva ribellarsi? E se avesse potuto, quale prezzo avrebbe dovuto pagare?
Per stemperare la tensione che si era creata tra i due, per non costringere Paolo a ulteriori patetici equilibrismi, Michele cercò di trovare qualche frase che lasciasse aperta la comunicazione e suonasse come un sentimento di comprensione nei confronti dell’amico. Si aggrappò all’ultima frase pronunciata da Paolo (É andata così…, aveva detto), un’affermazione che prefigurava una sfiducia totale nella funzione catartica del tempo, nella possibilità di un riscatto:
Niente è definitivo, Paolo. C’è sempre una possibilità, l’occasione per riscattarsi. Il tempo aiuta a lenire il dolore quando è il dolore ad annichilirti; se sei vittima di ingiustizie o di errori ti dà gli argomenti per ripensare il passato e la forza per riparare gli errori o per combattere l’ingiustizia. Niente è definitivo e niente è irreparabile se il tuo animo è saldo…, disse Michele. E Paolo di rimando, come se avesse capito le intenzioni dell’amico e gli fosse grato per la fiducia che le sue parole lasciavano trasparire, rispose dandogli appuntamento in un futuro imprecisato ma presumibilmente non lontano:
Un giorno o l’altro ti racconterò tutto, oggi mi è impossibile farlo;
Va bene, Paolo… Ma adesso andiamo via, non ti fa bene tornare in quel gruppo…;
Vai tu, Michele. Io adesso non posso. Devo ritornare a quel tavolo con la mia maschera.
Parlarono ancora per qualche minuto, si scambiarono informazioni sulle rispettive famiglie, sul lavoro, mentre la voce calda della giovane cantante sussurrava parole di nostalgia che nessuno dei due ascoltava.
I’m sorry / But time goes by time goes by / You wanna know why you wanna know why / You’re missing the time she was at your side / You wanna go back in time to say her / I’m sorry!
Mi dispiace / ma il tempo passa, il tempo passa / tu vuoi sapere perché, tu vuoi sapere perché / ti manca il tempo in cui lei era al tuo fianco / vuoi tornare indietro nel tempo per dirle / Mi dispiace!
Paolo accompagnò Michele verso l’uscita e quando restò solo, prima di scuotersi e ritornare sui suoi passi, rimase fermo a guardarla come se da lì se ne fosse andata una parte di sé che non avrebbe mai più ritrovato.
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Michele e Corrado testimoni di un evento impensabile
Dalla piazza salivano alte e solenni le parole dell’oratore di turno:
…le nostre case e le nostre vite non sarebbero sicure se garantissimo libertà di movimento ai LERT, se tollerassimo…
Michele, Michele, accendi la tele, per favore…, disse Corrado con una certa concitazione.
Michele ritornò in salotto, accese il televisore che occupava come un quadro la parete di fronte al divano, attese che si materializzassero le immagini e …restò immobile come un salame, sorpreso da ciò che vedeva e sentiva.
…la dirigenza della Zona, guidata dalle tragicomiche figure di mr. Macht, mr. Moc e mr. Muecht, è responsabile di crimini contro l’umanità…, mentre le immagini proiettavano le caricature dei tre personaggi rappresentati come avvoltoi in volo sulle sagome putrescenti dei paesi del Medioriente e del golfo Persico;
…permettono l’impiego di manodopera coatta per aumentare i profitti delle grandi multinazionali zonali e americane…, accanto ai tre avvoltoi antropomorfi si materializzava una squadriglia di avvoltoi con sulle ali e sulle fiancate il nome di note multinazionali.
Vieni, Corrado, è pazzesco. Non l’avrei mai immaginato ma sta succedendo…, disse Michele incredulo;
Arrivoooooo… come è potuto succedere… Ciao Leo, ci vediamo.
Michele si era di nuovo spostato nello studiolo, aveva aperto la finestra per sentire meglio le parole dell’oratore.
…successo ha dell’inverosimile. Come sapevamo, eravamo stati avvertiti della possibilità…
Corrado, lo sanno anche in piazza, li hanno avvertiti…
Sulla piazza era sceso un silenzio tombale. Nessuno applaudiva, non si sentiva il solito vociare della massa, solo il lento e incespicante eloquio dell’oratore,
…informano che sono state interrotte le trasmissioni radio-televisive…
disse in tono sommesso, mortificato dall’incedere degli eventi.
…manifestazioni continuano in tutta la zona… le forze dell’ordine sono al lavoro per assicurare alla giustizia…
La tele rimase oscurata per almeno mezzora. A brevi intervalli veniva fatto un tentativo di ripristinare la diretta dalla manifestazione della capitale, qualche secondo in cui si intravedeva un fotogramma commentato da un moncone di parola, poi ancora lo sfrigolio dell’assenza di segnale.
Proviamo a guardare su internet, suggerì Corrado, può darsi che anche la rete sia stata attaccata… mentre i loro telefoni cellulari annunciavano a raffica l’arrivo di sms. Li guardarono: molti erano di amici e conoscenti che si informavano reciprocamente sulla trasmissione pirata, altri, molti altri, un vero diluvio, provenivano da mittenti sconosciuti e facevano controinformazione.
Corrado aprì il PC, consultarono le pagine dei rispettivi profili social e ovunque trovarono le tracce delle incursioni dei pirati delle comunicazioni. La tele continuava a essere oscurata, i social network che utilizzano la rete no, era praticamente impossibile farlo in tempi brevi e quando ne fu impedito l’accesso il danno era fatto, tutti erano stati informati, tutti avevano visto o letto o ascoltato.
Dall’ottavo piano guardarono ancora una volta giù nella piazza. Osservarono una scena inverosimile, al limite dell’assurdo. L’oratore continuava stancamente, con sempre minore convinzione, la sua prolusione; nessuno nella piazza si interessava alle sue parole snervate, le bandiere erano state ammainate e abbandonate per terra, si erano formati dei capannelli che discutevano animatamente l’accaduto, tutti esibivano il telefonino, si meravigliavano, commentavano. Dal basso saliva un potente brusio che accompagnava il discorso amplificato dell’oratore il quale, oramai emotivamente destabilizzato, concluse frettolosamente l’orazione e dichiarò concluse le celebrazioni. Nella piazza si diffusero le note dell’inno che aleggiò sulle teste dei partecipanti senza coinvolgerli, scioccati anche loro come le autorità, emotivamente destabilizzati, incapaci di qualsiasi reazione. Alcuni iniziarono ad abbandonare la piazza sciamando nelle strade laterali, con il capo basso, scambiando poche parole, compulsando il telefono cellulare.
Altri gioivano dell’accaduto. Gioiva l’uomo col cappello a larghe tese che dopo l’incontro con Michele si era rifugiato nel suo bar preferito; aveva gioito l’uomo col giornale che era tornato a casa e si era sentito ripagato dello sgarbo subito sul treno; avevano gioito Walter, rimasto con Arturo nella piazza per motivi professionali; gioirono Aziz Meziane, Mohammed Nhabash e Thembi Kasonde; gioirono smodatamente anche Michele e Corrado, brindarono più volte ed esultarono alla vista di quella piazza sfiduciata e disfatta, che quasi dimenticavano il motivo per cui si erano incontrati.
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